INVESTIMENTO DI PEDONE

T R I B U N A L E D I
F E R M O

SENTENZA
(art.544 e segg. c.p.p.)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI FERMO - SEZ. PENALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IN PERSONA DEL GIUDICE
DR. GIUSEPPE LUIGI FANULI

Alla pubblica udienza del 29/7/2003 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo
la seguente

SENTENZA

Nei confronti di:
XXXXXXXXX n. a XXXXXXX il 22/11/1964, res. a XXXXXXXXXX Via.....

- LIBERA PRESENTE -

Avv. ti Piattoni Savino e Villeado Craia del Foro di Fermo, di fiducia

IMPUTATA

Del delitto p. e p. dall’ 589 del c.p. perché, alle ore 18,30 circa del giorno 8 febbraio 2002, lungo la S.S. 16 Adriatica all’altezza del km. 378+30 in territorio extraurbano del Comune di Cupra Marittima, alla guida dell’autovettura Fiat Punto tg. XXXXXX di proprietà, cagionava per colpa la morte del pedone YYYYYYY che si trovava – in piedi - sulla carreggiata di percorrenza dell’autovettura secondo la direzione di marcia sud-nord e che attingeva con la parte anteriore destra dell’autovettura (parti interessate all’urto nell’ordine parafango, paraurti, gruppo ottico, cofano, parabrezza) all’altezza del ginocchio dell’arto inferiore sinistro (successivamente disarticolato all’altezza dell’articolazione coxo-femorale) caricando quindi successivamente il corpo che veniva poi scaraventato nei campi, a destra della carreggiata, ad una distanza di m. 27 circa dal punto dell’impatto –non identificato con esattezza ma certamente all’altezza del punto, fuori della carreggiata, ove si trovava parcheggiata l’auto con cui la vittima era giunta sul posto- e che decedeva sul colpo a causa delle gravissime ferite (poli-fratture e lesioni interne) riportate nell’impatto. Specificandosi la sua colpa in imprudenza generica per non aver prestato sufficiente attenzione alla guida e non essersi accorta in tempo utile della presenza del pedone sulla carreggiata.

CON LA PARTECIPAZIONE DELLA PARTE CIVILE
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Avv. Massimo Di Bonaventura del Foro di Fermo

CONCLUSIONI

Il Pubblico Ministero ha concluso per la condanna dell’imputata alla pena di mesi sette di reclusione, con i benefici di legge

L’Avv. Di Bonaventura, per la Parte Civile, ha concluso come da separato atto, allegato al verbale di dibattimento in uno con la nota spese

L’ Avv. Piattoni ha concluso per l’assoluzione dell’imputata perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato. L’Avv. Craia si è associato alle conclusioni dell’Avv. Piattoni, chiedendo, in via del tutto subordinata, una congrua riduzione delle richieste risarcitorie avanzate dalla Parte Civile

FATTO E DIRITTO

Con decreto in data 24/10/2002 il G.U.P. in sede disponeva il rinvio al giudizio di questo Tribunale di XXXXXX, per rispondere del reato segnato in rubrica.

Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, acquisiti ex art. 493 co. 3 c.p.p. gli atti delle indagini preliminari, veniva disposta ed esperita perizia al fine della ricostruzione, sulla base dei rilievi e delle risultanze acquisite, della dinamica dell’incidente.

All’odierna udienza - sentito il perito Isp. Esperide - all’esito della discussione, Pubblico Ministero, Difensore della Parte Civile e Difensori dell’imputata formulavano le rispettive conclusioni, come sopra indicate.

Il fatto che all’incidente non abbia assistito nessun testimone diretto, se da un lato esclude una ricostruzione completa in ogni suo dettaglio del fatto nella sua accezione meramente “storica”, non incide sull’accertamento del fatto di reato nella celebrata e sempre attuale accezione che fu propria del Delitala.
In realtà, gli elementi raccolti, pur scarni e pur con qualche – naturale - margine di ambiguità depongono inequivocabilmente nel senso nella piena penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato ascrittole. In realtà, come si dirà, ai fini dell’affermazione della penale responsabilità della XXXXX, sarebbero sufficienti le – sia pur interessate - dichiarazioni rese dalla medesima a sua difesa in sede di interrogatorio: ciò a voler tener conto di principi assolutamente consolidati in tema di responsabilità colposa.
Ma la responsabilità dell’imputata emerge, ed in modo macroscopico, ben al di là della (sin troppo) limitativa formulazione dell’imputazione e dei profili evidenziati – peraltro in modo pregevole - nella requisitoria del Pubblico Ministero, da tutta una seria di inconfutabili elementi fattuali, coordinati e valorizzati nell’ottica d’insieme, in modo esemplare, dal perito Esperide – di assoluta affidabilità -. Elementi che, persino superflui ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputata – atteso che, come è noto, integra il reato per cui si procede anche colui che concorre in misura minima nella causazione dell’evento - evidenziano, da un lato, la particolare gravità della connotazione colposa della condotta della imputata medesima (da valutare ex art. 133 c.p.) dall’altro escludono qualsiasi ipotesi di concorso della vittima.

Ciò premesso si passa a valutare la posizione dell’imputata sulla scorta del materiale probatorio sopra indicato. Successivamente, peraltro, si provvederà alla falsificazione delle argomentazioni difensive e alla valutazione della ipotesi alternativa genericamente prospettata.

L’investimento del pedone YYYY da parte dell’imputata si è verificato in territorio extraurbano del Comune di Cupra Marittima, sulla statale 16 adriatica ad unica carreggiata a doppio senso di circolazione e – tenuto conto della direzione percorsa dall’auto dell’imputata (sud-nord) – in prossimità del km. 378+300, nel tratto d’uscita da un’ampia curva destrorsa a visuale parzialmente libera, per la presenza di una siepe a margine della sede stradale, lato destro.
Detto tratto di strada risulta privo di illuminazione artificiale e di segnaletica stradale verticale e presenta la sola segnaletica orizzontale di delimitazione della carreggiata e delle due corsie di marcia. Su detta strada extraurbana secondaria vige il limite massimo di velocità di 90 km/h (art. 142 co. 1 Cod. Strad.).
Appare puntuale il rilievo del consulente della Difesa dell’imputata, in ordine alla “scarsa visibilità di pedoni che attraversano la sede stradale nelle ore notturne, in un ambiente reso ancor più buio dallo sfondo scuro rappresentato dalla collina ricoperta di vegetazione che fiancheggia il lato sinistro della strada”.

Gli elementi probatori utili ai fini della ricostruzione del sinistro sono rappresentati dai rilievi effettuati dai verbalizzanti Carabinieri di Cupra Marittima, dalle testimonianze di persone intervenute successivamente al fatto, dalla ricognizione cadaverica, dalla documentazione, anche fotografica, relativa alla verifica dei danni e dello stato dell’autovettura guidata dall’imputata e, infine, da un sopralluogo eseguito personalmente dal P.M. e dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dall’imputata.

Le fonti di PROVA ORALE non consentono di ricostruire la vicenda nella sua interezza.
La teste WWWW – abitante in prossimità del luogo del fatto - ha riferito, sostanzialmente di aver sentito, intorno alle ore 18,30 dell’8/2/2002, dall’interno della propria abitazione, “un grosso tonfo e nient’altro”, non preceduto né seguito da rumore di frenata. La strada appariva trafficata. Solo dopo alcuni minuti aveva sentito le grida dell’imputata che – si badi - ancora non aveva capito cosa fosse successo e a cosa dovesse essere attribuito l’urto. Successivamente, grazie all’intervento dei Carabinieri muniti di un grosso faro era stato individuato il corpo della vittima.
Di scarso ausilio appaiono le dichiarazioni di ......  e ........., transitati sul luogo del fatto a bordo della vettura di proprietà del primo, dopo che l’evento si era verificato.
Più rilevanti appaiono le dichiarazioni rese da ..........., sorella della defunta, nell’immediatezza dei fatti ai Carabinieri e successivamente al P.M.. Essa ha riferito:
- che la vittima era stata presso la sua abitazione a fare visita ed assistenza alla madre, gravemente malata, dalle 13,00 alle ore 18,30. Alle 18,30 si era allontanata per tornare a casa;
- che essa teste aveva accompagnato la vittima sino alla porta e quindi l’aveva seguita con lo sguardo, dalla finestra, mentre la stessa – dopo aver guardato a destra e a sinistra per assicurarsi che non sopraggiungessero veicoli - aveva attraversato per intero la sede statale, fino al superamento della striscia bianca delimitante la carreggiata, in direzione della sua autovettura Fiat 500, parcheggiata sulla banchina erbosa sul lato opposto a quello del suo punto di osservazione;
- che, subito dopo essa teste si era allontanata, portandosi in altra stanza e solo dopo qualche minuto, in pratica casualmente, aveva constatato che la congiunta era stata investita ed era deceduta;
- che poteva escludere con ragionevole certezza che la vittima, dopo aver attraversato la carreggiata, avesse fatto “marcia indietro” per rientrare in casa. La stessa, infatti, non aveva dimenticato alcunchè e, dopo la ricordata lunga permanenza presso l’abitazione dei suoi cari aveva avuto modo di dire tutto quanto aveva da dire. Inoltre, la stessa vittima era donna estremamente precisa e metodica e quella come altre sere doveva essere a casa entro le ore 19,00 ora in cui il marito, soggetto a trattamento di emodialisi, avrebbe fatto ritorno dall’Ospedale.

Gli ACCERTAMENTI ED I RILIEVI effettuati dai Carabinieri sul luogo del sinistro – così come gli accertamenti effettuati sull’autovettura dell’imputata e quelli medico-legali sul corpo della vittima - se da un lato danno testimonianza dell’efficacia devastante dell’impatto, consentono di individuare dei punti fermi ai fini della ricostruzione della dinamica dell’incidente.
In particolare i Carabinieri di Cupra Marittima, prontamente intervenuti, hanno rilevato:
- che la Fiat 500 della vittima era ancora chiusa a chiave;
- che non era possibile individuare con esattezza il punto d’urto, per la mancanza di elementi certi di riscontro;
- che non vi erano tracce di frenata e che la Fiat Punto guidata dall’imputata era stata individuata ad una distanza di 120 metri circa dalla zona del presunto punto d’urto, all’altezza della autovettura della defunta;
- che il corpo della vittima era stato sbalzato ad una distanza di ben 27 metri circa, mentre l’arto inferiore sinistro della stessa, staccato di netto dal resto del corpo a seguito dell’urto, era stato sbalzato ad una distanza di circa 47 metri;
- che a circa dieci metri dalla Fiat 500 parcheggiata, sul manto stradale tra la striscia che delimita la carreggiata ed il ciglio in terra battuta erano state rinvenute tracce di sangue e brandelli di carne “in traiettoria” con il corpo e la gamba;
- che, a seguito di una più minuziosa ispezione dei luoghi era stata rinvenuta una scarpa della vittima in corrispondenza della linea di mezzeria e, proseguendo, lungo il ciglio della strada, il mazzo di chiavi della stessa vittima.

Sulla base dei dati oggettivi ed inconfutabili di cui si è detto, la disposta perizia ha avuto la finalità di individuare la zona di investimento e quindi quella in cui si trovava il pedone nel momento dell’investimento; valutare la velocità di marcia dell’autovettura dell’imputata; individuare la posizione sulla carreggiata dell’autovettura condotta dall’imputata al momento dell’urto; accertare le modalità della condotta di guida della stessa imputata.

Al riguardo va ribadita la coerenza e la professionalità del perito nominato, che muovendo da dati certi, è pervenuto a conclusioni sempre sulla base di operazioni oggettivamente riscontrabili e, in caso di dubbio, ha adottato la soluzione più favorevole all’imputata. Inoltre, in tutti i casi in cui la soluzione non era assolutamente certa, ha espresso giudizi personali (peraltro attendibilissimi), chiarendo che di ciò trattavasi.
Degna di nota è anche la consulenza tecnica della parte civile, fondata anch’essa – ove possibile - su dati oggettivi elaborati in modo scientifico e riscontrabile e, per il resto, su valutazioni opinabili ma logicamente motivate.
Va invece ritenuta sostanzialmente inutile ai fini della “lettura” della vicenda la consulenza di parte dell’imputata - redatta dal perito dell’assicurazione - che, pur muovendo da dati oggettivi, si caratterizza per essere meramente assertiva. Senza considerare che la conclusione a cui perviene appare giuridicamente aberrante, laddove ritiene che l’incidente si sia verificato a causa di un evento, improvviso ed imprevedibile (come tale non imputabile soggettivamente alla XXXXXX) rappresentato dalla condotta della vittima che, dopo aver attraversato la strada per avvicinarsi alla ricordata “500”, aveva tentato di attraversare nuovamente la carreggiata nella opposta direzione (sic !).

Ciò premesso, va rilevato come il perito Esperide, con analisi immune da vizi tecnici e logico giuridici (tra l’altro nessuna eccezione è stata mossa al riguardo dai tecnici di parte) abbia fornito una esauriente ricostruzione - su basi fattuali e logico-deduttive - del sinistro, giungendo a conclusioni che, pertanto, questo giudice ritiene di dover far proprie.

In particolare, il perito ha valutato che le evidenti e localizzate deformazioni residuate alla Fiat Punto, correlate alle lesioni riscontrate dal consulente tecnico medico-legale sul corpo della vittima, indicano che "l’investimento è stato “di tipo accentuatamente eccentrico, in quanto inizialmente concretizzatosi tra il paraurti e sottofascione anteriori lato di destra e l’arto inferiore sinistro del pedone. Realizzatosi in tal modo l’investimento, il pedone, caricato sull’autovettura, con il dorso ha schiacciato l’estremità destra del cofano ed il parafango anteriore di quel lato, mentre con la parte posteriore della testa ha colpito il parabrezza, all’altezza dello spigolo inferiore destro. E’ evidente quindi, che il pedone è stato colpito da dietro e dunque mostrava le spalle al veicolo; inoltre, tenuto conto che l’iniziale contatto è avvenuto tra paraurti ed arto inferiore, deduciamo che il pedone era in posizione eretta” (pp. 6 e 7).

Lo stesso perito ha fornito una plausibile giustificazione della presenza della ferita lacero-contusa riscontrata dal medico-legale all’altezza della parete esterna del ginocchio sinistro, da ricondursi al movimento che la vittima ha verosimilmente tentato di compiere, nell’imminenza dell’investimento (“avvertito il sopraggiungere da tergo dell’autovettura, è probabile che abbia istintivamente cercato di voltarsi ed iniziato così un movimento antiorario; ritengo, però, che nella fase iniziale di questo movimento sia stata colpita dall’autovettura”). Trattasi di chiarimenti utili ai fini della ricostruzione “storica” del fatto, ma, come meglio si dirà, sostanzialmente irrilevanti nell’ottica della integrazione della fattispecie criminosa nella sua tipicità.

Del tutto indiscutibile appare, poi, la dinamica successiva all’investimento: il tipo, la modalità e l’entità del colpo sono stati tali da provocare nell’immediatezza la quasi totale disarticolazione dell’arto inferiore sinistro della vittima che, per l’effetto, è stata proiettata in avanti e verso destra, in direzione del campo adiacente il lato destro della strada. Qui, toccando terra, l’arto inferiore sinistro si è definitivamente staccato dal corpo. Ciò trova riscontro nel fatto che corpo ed arto sono stati sbalzati lungo la stessa traiettoria, fino al punto in cui sono stati rispettivamente rinvenuti, producendo la striscia di sangue di cui si è detto, evidenziata nelle foto n. 10 e 11 allegate al fascicolo dei rilievi tecnici dei Carabinieri.

Lo stesso perito, poi, sulla base di un’ ineccepibile ricostruzione che ha tenuto conto del tratto di strada percorso dell’autovettura investitrice nel lasso di tempo occorso per le evoluzioni della vittima (urto/caricamento/proiezione) ha individuato il punto d’urto poco a sud del luogo in cui era in sosta la ricordata Fiat 500. Inoltre, sulla base della localizzazione dei ricordati elementi oggettivi rilevati dai verbalizzanti, individuati sul campo adiacente il lato destro della strada ed a considerevole distanza da essa ha correttamente localizzato la posizione della vittima in prossimità del margine destro della carreggiata, molto probabilmente in linea con il brandello di carne e con il portachiavi rinvenuto: dunque, a destra della striscia di margine che delimita la corsia nord della statale.
Alla luce di quanto sopra si deve ragionevolmente dedurre che nel momento in cui è stata investita, la vittima stesse procedendo lungo la banchina asfaltata per dirigersi verso la propria autovettura, in sosta sul campo adiacente alla strada, auto che, come detto, è stata trovata chiusa a chiave. Ciò appare pienamente sintonico con le ricordate dichiarazioni rese dalla sorella della vittima.

Il perito ha altresì vagliato in modo scrupoloso l’evenienza – prospettata dal consulente della Difesa - che l’investimento possa essere avvenuto mentre la vittima era in procinto di attraversare la strada.
Al riguardo ha evidenziato che se fosse stato in atto un attraversamento da sinistra verso destra rispetto alla direzione dell’autovettura la vittima avrebbe mostrato alla vettura il proprio fianco destro, sicchè ad essere colpita sarebbe stata la gamba destra, con il fianco destro avrebbe dovuto introflettere il cofano e con la parte destra della testa avrebbe dovuto sfondare il parabrezza. Nel caso di specie, invece, risulta essere stata colpita per prima e con maggior forza la gamba sinistra della vittima; il cofano è stato introflesso dal dorso della stessa e la parte della testa lesionata era stata quella posteriore. Del resto, anche a voler ammettere che la vittima, nell’imminenza dell’urto, percepito il pericolo, si fosse girata verso l’autovettura – che nella specie sarebbe sopraggiunta dalla sua destra - avrebbe mostrato al veicolo la parte anteriore, non quella posteriore.
Per analoghe ragioni è da escludere l’ipotesi dell’attraversamento da destra verso sinistra.
A rafforzare l’ipotesi che la vittima sia stata investita mentre camminava lungo la banchina asfaltata in direzione nord il perito allega tale ulteriore convincente argomentazione: se è vero – come è stato affermato dalla stessa imputata e non risulta smentito da altre emergenze istruttorie - che la XXXXXX non ha eseguito alcuna manovra tesa ad evitare l’investimento, né particolari manovre dopo che lo stesso si era verificato, si deve ritenere che la traiettorie dell’auto sia rimasta sostanzialmente immutata. Posto che l’autovettura è stata rinvenuta, in fase di quiete, a cavallo della striscia di margine che delimita la corsia di destra, non si può che dedurre che anche nella fase antecedente fosse quella la posizione del veicolo sulla carreggiata. Per cui è ragionevole pensare che la vittima – colpita dal lato anteriore destro dell’auto dell’imputata, si trovasse a destra della striscia di margine, quindi oltre la corsia riservata alla circolazione dei veicoli nella direzione sud/nord. In caso contrario si dovrebbe ipotizzare, tenuto conto della ricordata collocazione degli elementi oggettivi rilevati (rinvenuti sul campo adiacente al lato destro della strada) o di cui è stata annotata la presenza (brandello di carne, portachiavi), che l’autovettura stesse percorrendo o che comunque avesse assunto dopo l’investimento una traiettoria obliqua orientata da sinistra verso destra; ma in tal caso la conducente – non avendo posto in essere manovre di alcun genere - sarebbe finita sul campo adiacente il lato destro della statale.

Il perito ha poi valutato, sulla base di noti principi, formule e modelli fisico-matematici e muovendo dai ricordati dati oggettivi la velocità a cui procedeva l’imputata negli istanti antecedenti l’investimento, quantificandola – all’esito del procedimento riportato per esteso nella perizia e non contestato dalle parti - in 80 km/h.
Trattasi di una valutazione molto prudenziale che – correttamente nell’ottica del giudicante - interpreta a favore dell’imputata tutti i dati ambigui.
Non può sottacersi, peraltro, che l’ing. Mercanti – consulente di parte civile - con una valutazione meno “garantista” ma fondata su procedimenti matematici logici e coerenti ha determinato la velocità tenuta dall’imputata in misura superiore al limite massimo dei 90 km/h (valutazione sintonica con gli effetti devastanti dell’urto).
Il consulente della difesa ha “determinato” la velocità sulla base delle mere dichiarazioni dell’imputata.

Un’ultima analisi effettuata dal perito appare illuminante in ordine alle connotazioni della condotta di guida tenuta dall’imputata.
Il perito ha rimarcato l’assenza di tracce di frenata e/o di scarrocciamento nella zona antecedente quella in cui si è verificato l’incidente e, altresì, l’assenza di reazioni da parte dell’imputata nella fase successiva all’investimento, pur essendo stato l’urto violento e quindi chiaramente avvertibile. Al riguardo va ricordato che l’autovettura, dall’investimento in avanti risulta aver percorso circa 120 metri. Per percorrere quello spazio in decelerazione dovuta al solo effetto del freno motore ha impiegato circa 11 secondi: un tempo enorme rispetto all’accaduto.
Ciò rinforza l’idea – come puntualmente evidenziato dal perito - che la conducente si trovasse in uno stato particolare “che se non è stato conseguente a particolari condizioni psicofisiche (che non risultano) può essere soltanto riconducibile ad un ridottissimo grado di attenzione”.

Alla luce di quanto sin qui esposto, il perito è stato è in grado di ricostruire compiutamente la dinamica dell’incidente:
“Verso le ore 18,30 del giorno 8/2/2002, la signora XXXXX, alla guida dell’autovettura Fiat Punto targata .......... percorreva la S.S. Adriatica, da sud verso nord. Pervenuta nei pressi della progressiva chilometrica 378+300, in territorio extraurbano del Comune di Cupra Marittima, affrontava l’ampia curva volgente a destra ivi esistente e proseguiva lungo il rettilineo seguente procedendo molto probabilmente a cavallo della striscia di margine che delimita la corsia di destra della Statale o comunque nelle sue prossimità. L’autovettura che guidava aveva in funzione i proiettori anabbaglianti, mentre percorreva quel tratto di strada buio, in quanto non servito da illuminazione pubblica. Questa circostanza non le consentiva di avvedersi per tempo della presenza del pedone signora YYYYYY, la quale in quel momento stava camminando in direzione nord (dunque mostrava le spalle all’autovettura) diretta verso la propria autovettura in sosta fuori della sede stradale. La signora YYYYY procedeva verosimilmente lungo la banchina asfaltata di destra o comunque in prossimità della striscia di margine che delimita il lato destro della Statale, dopo aver completato l’attraversamento della carreggiata da sinistra verso destra rispetto alla direzione indicata. Il ridotto grado di attenzione posto in quel momento nella guida dalla signora XXXXXX, desunto dagli elementi ampiamente richiamati, non le consentiva di vedere il pedone neanche una volta giunta a ridosso di quest’ultimo, ovvero quando il pedone è entrato nel campo illuminato dai proiettori anabbaglianti, e perciò non poteva non essere visto da un conducente che avesse posto nella guida la dovuta attenzione. E’ stato così che il pedone veniva investito dall’autovettura sopraggiungente da tergo, senza che la conducente ponesse in essere manovre di alcun genere tese ad evitare l’investimento, a causa e per l’effetto del quale, la signora YYYYYY veniva proiettata nel campo adiacente il lato destro della statale, riportando nell’occorso gravissime lesioni, tra cui la disarticolazione dell’arto inferiore sinistro, che ne causavano il decesso pressochè immediato. L’autovettura, dopo l’investimento proseguiva in avanti per circa 120 metri, esaurendo il moto quasi esclusivamente per effetto del freno motore, senza che la conducente eseguisse, neanche in questa seconda fase, manovre di alcun genere”.

Passando alle valutazioni giuridiche, la penale responsabilità dell’imputata emerge in modo macroscopico.
Addirittura disarmante appare l’ imprudenza generica così come contestata nel capo d’imputazione: non solo l’imputata non ha visto il pedone al momento dell’investimento, e quindi, non ha posto in essere alcuna manovra per impedirlo, ma non ha reagito neanche dopo l’investimento. Non solo, nonostante l’effetto devastante e macroscopico dell’impatto, per effetto del quale la vittima è stata addirittura caricata sull’autovettura e sbalzata “a pezzi” a distanza di decine di metri, la stessa imputata, scesa dall’autovettura, non aveva ancora capito cosa fosse in realtà accaduto (v. teste ......): il che evidenzia ancor più – ove ve ne fosse bisogno - l’assoluta leggerezza e noncuranza nella guida dell’imputata, che, indubbiamente, lungi dal concentrarsi sul rispetto rigoroso delle norme in materia di circolazione, era totalmente distratta.

Null’altro sarebbe necessario aggiungere.

Va peraltro rimarcato che nella connotazione gravemente colposa dell’imputata va fatta rientrare anche la circostanza che la stessa procedesse a cavallo della striscia di margine che delimita la corsia di destra della statale e, soprattutto, che la stessa procedesse a una velocità assolutamente non commisurata alla profondità di visuale disponibile, coincidente con il ridotto campo illuminato dai proiettori anabbaglianti.

E’ noto che, secondo il consolidato indirizzo della Suprema Corte, il conducente deve mantenere una velocità adeguata alle circostanze concrete e, in ogni caso, idonea a consentire il controllo del mezzo anche con riferimento a condotte imprudenti altrui. Nel caso in esame la velocità non era assolutamente adeguata alle circostanze (buio, mancanza di illuminazione pubblica, traffico, vicinanza ad abitazioni con accesso alla carreggiata, ecc.). E ciò – si badi - sia nel caso in cui si intenda far riferimento alla relazione del consulente della parte civile, secondo cui sarebbe configurabile addirittura un eccesso di velocità (ex art. 142 cod. stra.), sia prendendo come riferimento quella (molto prudenziale) di 80 km/h indicata dal perito, ma anche a voler dar credito alle apodittiche affermazioni dell’imputata, secondo cui l’andatura era di circa 60/70 km orari.

Al riguardo appare sufficiente il richiamo al consolidatissimo indirizzo della Suprema Corte, secondo cui chiunque venga a trovarsi in condizione di limitata visibilità ha il dovere di ridurre la velocità del veicolo condotto o, addirittura, fermarsi (cfr., tra le tante, CASS. 17/3/1980, Gazazzeni). Nel caso di specie che la visibilità fosse limitatissima è assolutamente incontroverso.

La gravità della colpa dell’imputata appare così del tutto evidente.

Per completezza si evidenzia che il fatto che siano stati accertati a carico dell’imputata profili di colpa ulteriori rispetto a quelli contestati nell’imputazione non comporta assolutamente violazione del principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza ex art. 521 c.p.p..

Ci si limita qui a richiamare il consolidatissimo e condivisibile insegnamento della Suprema Corte, secondo cui “nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo della contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521” (cfr., ex plurimis, CASS. Sez. I, 15/2/1997 n. 11538).

Passando ad esaminare le argomentazioni della difesa, fondate sul supporto tecnico della relazione di parte – della cui inconsistenza si è detto - si osserva quanto segue.

La Difesa dell’imputata ha sostenuto la tesi del caso fortuito rappresentato dalla condotta imprevedibile della vittima.
Tale tesi è infondata in fatto ed in diritto.
Va premesso che secondo il consolidato e condiviso indirizzo della Suprema Corte il caso fortuito, costituendo un’ipotesi di esclusione della punibilità, deve essere provata dall’imputato che la invochi (cfr., per tutte, CASS. 6/8/1991, Moscatelli). Nel caso in esame la sussistenza del caso fortuito è stata solo genericamente ed apoditticamente asserita.
In ogni caso, è assolutamente pacifico che l’imputato che allega quale esimente il caso fortuito non può sottrarsi all’onere di indicare specificamente l’elemento causale nel quale si sarebbe concretizzato il fortuito, con i suoi caratteri di imprevedibilità ed inevitabilità (cfr., ex plurimis, CASS. 14/12/1982, Beccarello). E che in materia di reati colposi conseguenti ad incidenti stradali non è sufficiente che vengano formulate delle mere ipotesi, in quanto, in mancanza di allegazione di elementi precisi e specifici ed in presenza –come nel caso in esame- di risultanze inequivoche confortanti la colpevolezza, non può residuare dubbio in merito alla penale responsabilità dell’imputato.
Ma, quel che più conta, la Suprema Corte, premesso che il fortuito di cui all’art. 45 è quell’elemento causale dell’evento che, costituendo un quid imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula completamente dal comportamento dell’imputato sì da rendere fatale il verificarsi dell’evento, e come tale non ricollegabile in alcun modo ad un’omissione cosciente e volontaria del soggetto incriminato, ritiene, in modo incontestabile, che non rientri nella fattispecie la condotta (anche altamente) imprudente del pedone in sede di attraversamento della strada e manovre connesse, trattandosi di fatto oggetto di quotidiana esperienza e quindi del tutto sfornito del ricordato elemento di straordinarietà, necessario a farlo rientrare nella previsione della norma sopra richiamata (cfr. tra le altre, CASS. 12/7/1988, Cantarella).
Il che induce a ribadire che, anche a voler dar credito alla tesi difensiva (sfornita di qualsiasi serio supporto probatorio), ciò non varrebbe a mandare l’imputata esente da penale responsabilità.

Ma, a ben vedere, nel presente processo, sarebbe sufficiente l’interrogatorio dell’imputata per ritenere pienamente provata la responsabilità della stessa.
L’imputata ha dichiarato, per quel che rileva: “ (…) Non vi era illuminazione pubblica e la zona era scura, non altrimenti illuminata. Guidavo con le luci anabbaglianti accese (…) Provenendo da sud ad un certo momento si apre la visuale completa del rettilineo sul quale poi si è verificato l’incidente e nel momento in cui ha avuto visione del tratto, escludo di aver visto in qualche modo il pedone; in particolare escludo di aver visto un attraversamento dalla mia sinistra rispetto alla mia destra, rispetto al mio senso di guida, di persona che attraversasse la carreggiata. Per essere ancor più precisa non ho visto assolutamente niente prima di sentire il rumore dell’urto del corpo contro la mia autovettura (…) Viaggiavo a velocità moderata che naturalmente non posso in qualche modo quantificare: ritengo intorno ai 60/70 km/h (…) Conosco perfettamente quel tratto di strada e so che è pericoloso. So anche che spesso circolano pedoni o biciclette sulla destra della strada che percorrevo; d’istinto, quindi, non stavo strettamente a destra, ma strettamente al centro della carreggiata di pertinenza. Mi rendo conto che il pedone esisteva sulla mia traiettoria e non sono assolutamente in grado di localizzarlo in qualche punto o in qualche direzione. L’unica cosa che posso escludere è di aver verificato un suo attraversamento da sinistra verso destra perché questa situazione, nello stato di attenzione che ponevo alla guida, non mi sarebbe potuta sfuggire(…)”

Tale ricostruzione, oltre ad apparire, all’evidenza, inverosimile (in quanto postulerebbe una improbabile e inspiegabile condotta “suicida” da parte della vittima) risulta smentita in modo chiaro dagli elementi di prova acquisiti al processo. In ogni caso anche a voler ammettere che i fatti si siano verificati secondo la ricostruzione dell’imputata, dovrebbe comunque esserne affermata la penale responsabilità.
E’ pacifico, infatti, che in tema di lesioni ed omicidi colposi commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, è compreso nell’obbligo di tenere un comportamento prudente ed accorto da parte del conducente di un automezzo, quello di prevedere le imprudenze altrui e, in ogni caso, di tenere una condotta di guida tale da prevenire eventi dannosi conseguenti a dette imprudenze. Orbene, tale obbligo di prudenza sarebbe stato patentemente violato dall’imputata anche a voler prendere per buone –in mera ipotesi- le dichiarazioni dalla stessa rese: non è chi non veda l’imprudenza di colui che pur circolando su strada totalmente priva di illuminazione e conoscendone la “pericolosità” per la abituale presenza di pedoni, proceda ad un’andatura di 60/70 km/h (che poi erano, quanto meno 80) senza essere in grado di vedere alcunchè (neanche il pedone “caricato” sul cofano).

In realtà la (grave) colpa dell’imputata si è estrinsecata proprio nel fatto di aver tenuto una condotta di guida tale da non essere nelle condizioni di avvistare (e, quindi, di evitare) la vittima. Tale mancato “avvistamento” non può essere certamente una scriminante.

Va quindi affermata la penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato ascrittole.

Passando ad affrontare le problematiche relative al trattamento sanzionatorio va sicuramente valorizzato l’accordo ex art. 493 co. 3 c.p.p. che, avendo riguardato tutti gli atti delle indagini preliminari si è tradotto in una sorta di “consenso” dell’ imputata ad un giudizio “allo stato degli atti”. Ciò ha consentito un significativo risparmio di tempo (senza, peraltro, alcun pregiudizio per i diritti dell’ imputata).
Tale condotta processuale va valutata nell’ ottica del trattamento sanzionatorio.
Viene in rilievo, in particolare, l’istituto delle circostanze attenuanti generiche e del giudizio di comparazione delle stesse con le eventuali aggravanti. Le attenuanti generiche, come è noto, secondo il dominante indirizzo giurisprudenziale, non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (cfr., per tutte, CASS. 14/1/1999, Calone). Orbene, è pacifico che tra i positivi elementi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena comminata per il reato rientra il comportamento processuale (cfr., ex plurimis, CASS. 28/2/1991, Cely).
E’ stato, al riguardo, fondatamente sostenuto che il comportamento processuale del reo, che si estrinsechi in un’attività di collaborazione con il corso della giustizia - giungendo a conferire un particolare significato di merito alla personalità del soggetto che rinuncia all’uso di specifici diritti processuali in vista di un interesse collettivo - ben può essere valutato ai fini della concessione delle attenuanti generiche.
Orbene, si ritiene che un comportamento processuale che si estrinsechi, tra l’altro, nel consenso all’acquisizione di molti atti di indagine, anche se dettato non certamente da finalità di interesse collettivo, ma dalla considerazione della superfluità dell’assunzione dibattimentale di alcune prove, possa ritenersi meritevole di considerazione ex art. 62 bis (e 69) c.p. per gli effetti positivi che tale condotta produce sui tempi del processo. Ciò, del resto, è in piena sintonia con le scelte legislative in termini di riduzioni di pena connesse ai riti alternativi al dibattimento.
Si ritiene, pertanto, di concedere all’ imputata le attenuanti generiche equivalenti – tenuto conto della gravità della connotazione colposa della condotta - all’aggravante dell’aver commesso il fatto con violazione di norme sulla circolazione stradale, contestata (seppur senza richiamo normativo) nel fatto di cui all’imputazione. Al riguardo, per completezza, va ricordato che secondo il consolidatissimo e condiviso indirizzo della Suprema Corte in tema di omicidio colposo deve ritenersi sussistente l’aggravante di cui all’art. 589 secondo comma c.p. quando, pur non violandosi una norma di comportamento contenuto nel codice della strada, ci sia stata inosservanza delle regole di generica prudenza perizia e diligenza (cfr., ex plurimis, CASS. sez. IV, 16/6/1989 n. 8589), recepite e trasfuse nell’art. 140 cod. strad. che impone ad ogni utente stradale di comportarsi in modo da non costituire pericolo per la circolazione (così: CASS. sez. IV, 16/6/1989 n. 8589).

Pertanto, valutati i parametri di cui al ricordato art. 133 c.p., equa appare la pena di anni uno e mesi sei di reclusione.
Si ritiene di determinare la pena in misura superiore ai minimi edittali e alle stesse richieste del P.M. d’udienza in quanto si ritiene che i modesti trattamenti sanzionatori – rispetto ad un reato lesivo del bene primario della vita - siano congrui nei casi in cui, ad esempio, in uno scontro tra veicoli, all’imputato sia ascrivibile un livello minimo di concorso causale, o un modestissimo grado della colpa.
Non è certamente questo il caso in esame, in cui è già stata rimarcata la particolare gravità della colpa dell’imputata che, quale conducente di autovettura, ha posto in essere una condotta di guida criminale (il fatto che si tratti di reato colposo e l’abusata, gratuita argomentazione secondo cui vicende di tal specie “possono capitare a tutti” non modifica detta qualificazione), denotante il sostanziale disinteresse per il pericolo di danno ad altri, tanto da provocare un incidente devastante in cui la povera YYYYY - “colpevole” solo di essersi trovata in quello specifico contesto spazio-temporale, al passaggio della XXXXXX - è stata travolta, mentre si trovava, a piedi, dopo aver effettuato una visita ai propri congiunti, ed ha trovato una prematura morte. Condotta rispetto alla quale l’imputata non ha mostrato alcun segno di resipiscenza (nel senso che tale espressione può avere con riferimento a delitti colposi): il che sottende una mancata – preoccupante - rappresentazione e consapevolezza della propria negligenza, imprudenza ed imperizia con riferimento al fatto in questione (di cui si è rimarcata la gravità).

Segue, per legge, la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali.
A norma del 2° comma dell’art. 222 D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285 va disposta nei confronti dell’imputata la sospensione della patente di guida per la durata, ritenuta congrua, di anni uno.
Sussistono le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in quanto si ritiene che - per effetto della presente condanna - la XXXXXXX si sforzerà di tenere una più attenta condotta di guida.

L’imputata va, infine, condannata al risarcimento dei danni in favore delle parte civile, da liquidarsi in separata sede, e al rimborso delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

Si ritengono sussistenti le condizioni per la concessione alla parte civile di una provvisionale provvisoriamente esecutiva, ex art. 539 co. 2 c.p.p. pari a €. 40.000,00.
Entro detto limite il danno appare provato, tenendo conto del danno non patrimoniale subito dalla stessa.
Al riguardo si ritiene di condividere l’indirizzo della Suprema Corte, secondo cui il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto non coincide con la lesione dell’interesse protetto, ma consiste in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare. Perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell’interesse protetto. Tale danno, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione del risarcimento (cfr. CASS. sez. III civile 7-31/5/2003 n. 8828).

Orbene, nel caso in esame, oltre al danno morale contingente, connesso al gravissimo trauma psichico di chi, pochi secondi dopo aver salutato la propria amata sorella, la ritrova “a pezzi” a terra, priva di vita, va valutato quello da privazione del rapporto parentale. Al riguardo va valorizzata la circostanza, emergente agli atti, che la vittima forniva un valido supporto alla parte civile nell’assistenza morale e materiale della madre, anziana e malata. Il che fa desumere che la morte della stessa, in uno con lo sconvolgimento delle abitudini familiari, abbia comportato un durevole detrimento alla stessa parte civile che vanno ad aggiungersi alle gravissime sofferenze morali e psichiche conseguenza della perdita del prossimo congiunto.

Va disposta, infine, la restituzione del corpo di reato all’avente diritto.

P.Q.M.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FERMO

Visti gli artt. 533,535 c.p.p. dichiara XXXXXXXX colpevole del reato ascrittole e in concorso di attenuanti generiche equivalenti la condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Sospensione della patente di guida per la durata di anni uno.
Condanna l’imputata al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, assegnando alla stessa parte civile, a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, la somma di €. 40.000,00 da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno, e al rimborso delle spese di costituzione ed assistenza dalla stessa parte civile sostenute, che liquida in complessivi €. 7.392,30, di cui €. 3.670,00 per spese vive. Restituzione C.R. all’avente diritto. Motivi riservati in gg. 30.
Fermo, il 29 luglio 2003

                                                                                                           IL GIUDICE